Di che famiglia sei?
Di che famiglia sei?
di Silvia Elena Montagnini
con Benedetta Tartaglia
regia Marco Pasquinucci
disegno luci Diego Ribechini
produzione Officine Papage
La scena è vuota, con uno stendibiancheria chiuso. Siamo su un terrazzo.
Una ragazza entra per stendere i panni: un gesto che si ripete giornalmente e naturalmente in tutte le parti del mondo. Ma il terrazzo si affaccia su una città strana, con una storia particolare… tutta da raccontare. C’era una volta un muro: un muro che aveva diviso la città, o meglio aveva diviso le famiglie che la abitavano. Da una parte quelle formate da una donna, un uomo sposati con figli, dall’altra tutte le altre.
Per fortuna adesso ci sono le porte nel muro. E si può passare. Per fortuna quando inizia il racconto la situazione è già stata risolta. Questo ci rassicura. Ma cos’è successo una manciata di anni fa? Quando il muro è stato innalzato e ci hanno divisi? Chi ha risolto la situazione e come? Martina è una bambina che ha due mamme. Piero un bambino che ha una mamma e un papà. Martina sta da una parte del muro. Piero sta dall’altra parte del muro. Piero e Martina, due bambini, due piccoli eroi inconsapevoli, con la loro curiosità, la loro voglia di conoscersi con la scusa di un pallone che vola accidentalmente dall’altra parte del muro, lo superano e mettono in atto una piccola rivoluzione. Anche le famiglie si conosceranno e si scopriranno molto simili, con alla base l’amore, il rispetto, il sostegno e la comprensione.
In un momento storico in cui la Società è liquida – come direbbe il famoso sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman – il tentativo è quello di cercare, al di là delle forme in cui si manifesta, un denominatore comune per definire la famiglia. Dopo laboratori e ricerche con bambini dai 6 ai 10 anni questo denominatore sembra essere l’Amore; e l’apertura verso le forme diverse è la Conoscenza, spinta dalla Curiosità.
Lo spettacolo si sviluppa sotto forma di narrazione, monologo di un’unica attrice, accompagnata da musiche che spaziano da momenti poetici a momenti ironici, senza perdere mai di vista l’obiettivo primario: la comprensione per il bambino, attraverso un linguaggio adatto. L’escamotage drammaturgico del terrazzo che si affaccia sul cortile e che rende la protagonista personaggio (quasi) onnisciente, permette allo spettatore di seguire attraverso i suoi occhi ciò che succede nella storia. Questo spettacolo serve a mostrare con leggerezza e poesia, diverse armonie, diverse realtà. Non si daranno semplici risposte o semplificazioni. Il fine è quello di far nascere curiosità, interesse, di evitare il giudizio a priori e lasciare aperta la porta a ciò che non si conosce.
IL LINGUAGGIO UTILIZZATO
La narrazione si sviluppa intorno a una piccola struttura autoportante realizzata con uno stendibiancheria – oggetto “familiare”, nel vero senso della parola, poiché tutte le famiglie lo hanno in casa. Passando sulla strada appena fuori da un cortile o spiando discretamente un balcone, se si scorge uno stendibiancheria con gli abiti appesi ad asciugare si evince chiaramente che tipo di famiglia abita la casa. Il linguaggio utilizzato è molto semplice: lo stendino sarà un catalizzatore di storie, raccontate attraverso i personaggi che si esprimeranno in prima persona, ma anche con una narrazione esterna, attraverso l’attrice che entra nella vicenda a sua volta mescolandosi con i personaggi. Qualche abito indica, suggerisce, le caratteristiche dei protagonisti. Le musiche accompagnano la narrazione che passa da momenti poetici a momenti ironici, senza perdere mai di vista la comprensione per il bambino. Poi ci sarà una luna che osserva dall’alto. Una luna in una cornice. Una luna che tutti guardano e che tutti guarda. Una luna che è un sogno, una luna che tutti vorrebbero. Una luna che si fa anche prendere, se ci si prova. Se si ha il coraggio di andare fin lassù.