L’imbarazzo dell’infinito
L’imbarazzo dell’infinito
esperienza per spettatore solo
da un’idea di Marco Pasquinucci
drammaturgia di Mariagiulia Colace
ispirata al racconto
L’uomo bicentenario di Isaac Asimov
con Marco Pasquinucci
audio e suoni Diego Ribechini
produzione Officine Papage
Un essere umano di fronte un altro essere umano, che umano non è.
Un essere umano di fronte a un umanoide, una macchina,
l’estrema evoluzione della leva di Archimede.
Identici in tutto e per tutto. Con una sola piccola differenza. Anzi due.
La macchina per piangere ha una riserva limitata di lacrime.
La macchina non ha una fine.
Lo spettatore o la spettatrice sono invitati a partecipare a uno spettacolo immersivo, che stravolge ogni ordinarietà teatrale per diventare un viaggio verso la scoperta del proprio mondo interiore. Un viaggio in cui le emozioni e il racconto si fondono con lo spazio che ospita l’evento. La performance – ispirata al racconto L’uomo bicentenario scritto dal padre della fantascienza Isaac Asimov – avviene in diretta ma si segue in cuffia, tramite il proprio smartphone. Lo spettatore è solo, la sua unica compagna è una voce che racconta, che guida, che si confonde con i pensieri. Appuntamento pensato per uno spettatore unico, da ripetersi più volte al giorno e per più giorni, per offrire quest’esperienza a un pubblico più ampio.
L’imbarazzo dell’infinito diventa una straordinaria occasione per valorizzare attraverso l’arte i beni paesaggistici, archeologici, architettonici che accolgono l’evento. Gli spazi vengono riletti in maniera inedita e restituiti alla percezione dei visitatori attraverso un’esperienza unica, extra- ordinaria. Il luogo diventa parte integrante della drammaturgia, con i suoi silenzi e rumori, con l’ambiente naturale e le forme architettoniche che lo compongono, le memorie che conserva e le visioni che evoca.
Il teatro esiste nella relazione tra attore e spettatore. Ma cosa accade se questa compresenza di corpi e sguardi diventa da un lato assenza fisica? Cosa accade se il filo rosso che lega chi recita e chi ascolta diventa immateriale, ovvero solo voce?
L’imbarazzo dell’infinito ha debuttato a luglio 2020, in un momento in cui la quantità spaventava ed era necessario stare distanti. Nell’anno delle “connessioni da remoto”, la ricerca artistica di Officine Papage è andata ad approfondire il significato della relazione e della solitudine, una condizione che il più delle volte temiamo ed evitiamo, ma che può assumere anche altre connotazioni.
Il titolo scelto per lo spettacolo richiama uno stato emotivo: la sensazione di disorientamento e allo stesso tempo di estasi che ci troviamo a vivere quando il nostro essere limitato si trova davanti qualcosa la cui bellezza non può essere misurata. Lo smarrimento viene amplificato se ci troviamo a visitare – in solitudine – un luogo dove di solito accadono attività o riti collettivi. Immaginiamo di essere soli all’interno di una cattedrale, di un teatro, di un museo, o al centro di una grande piazza.
Ogni spazio viene concepito per essere vissuto in un determinato modo, ma se la fruizione ordinaria salta, anche questo crea straniamento, una sorta di corto circuito emotivo che può far venire a galla stati d’animo profondi e inesplorati. Sono questi che Officine Papage vuole indagare.