Rebecca
Uno spettacolo al buio
dal romanzo
“La Vita Accanto” di Mariapia Veladiano
adattamento e regia Marco Pasquinucci
con Marco Pasquinucci
voci di Emanuele Niego, Caterina Simonelli,
Ilaria Pardini, Cecilia Vecchio
primo spettatore Gianfranco Berardi
prima spettatrice Gabriella Casolari
sound designer Mattia Loris Siboni
audio Alice Mollica
produzione Officine Papage
Rebecca parla calma, anche se siamo al buio hai la sensazione che ti guardi negli occhi.
Rebecca sorride, sceglie le parole giuste.
Rebecca non ha timori: racconta la sua storia, con pazienza, con cura, con grazia.
A volte Rebecca è poesia.
Rebecca è una donna brutta, proprio brutta. Non è storpia, per cui non fa nemmeno pietà. Ha tutti i pezzi al loro posto, però appena più in la, o più corti, o più lunghi o più grandi di quello che ci si aspetta. L’elenco non ha senso, non rende.
E poi sente gli odori, tutti gli odori, come gli animali. Una bambina, una donna poi, una storia, un segreto di famiglia inconfessabile.
Lo spettacolo nasce da una riduzione drammaturgica del romanzo La vita accanto di Mariapia Veladiano (esordio dell’autrice, Premio Calvino 2010, finalista al premio Strega 2011). Protagonista dello spettacolo è la storia di Rebecca, narrata in prima persona, in bilico tra un appassionante giallo e lucida, tagliente poesia. Nel nostro allestimento la voce di Rebecca è quella di un uomo. La narrazione avviene al buio, quel buio buono (come la protagonista stessa lo definisce) che permette a Rebecca di proteggersi dal giudizio (così come permette al pubblico di concepire la sua bruttezza) e raccontarsi in una confessione delicata, voluta, necessaria. Rebecca parla calma, anche se siamo al buio hai la sensazione che ti guardi negli occhi. Rebecca sorride, sceglie le parole giuste. Rebecca non ha timori: racconta la sua vita, con pazienza, con cura, con grazia
Il pubblico partecipa alla narrazione nel buio, quel buio “buono, venato d’azzurro” che non giudica e fa sentire profondamente, in cui Rebecca può entrare senza paura per proteggersi dal giudizio degli altri e raccontarsi senza limiti. Nell’oscurità il pubblico può immaginare Rebecca in maniera strettamente personale, senza sottostare a canoniche idee di bello o brutto. Lo spazio di ricerca artistica è dunque quello del buio, inteso come dimensione capace di aumentare la capacità percettiva dello spettatore, l’intimità della relazione tra attore-spettatore e tra spettatore- spettatore.